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Contratti di lavoro > Contratto intermittente, a chiamata o job on call

Contratto intermittente, a chiamata o job on call
Ai sensi dell’art. 33, d.lgs. n.276/2003, il contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro per svolgere determinate prestazioni di carattere discontinuo o intermittente (individuate dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale) o per svolgere prestazioni in determinati periodi nell’arco della settimana, del mese o dell’anno (individuati dal d. lgs n. 276/2003).

Il rapporto di lavoro può essere con o senza obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore scelga di essere o meno vincolato alla chiamata. 
   

Forma e contenuti
La forma scritta del contratto è richiesta solo ai fini della prova (quindi in sede di eventuale contenzioso) e deve contenere l’indicazione di una serie di elementi (che devono conformarsi a quanto sarà contenuto nei contratti collettivi) quali: durata, ipotesi che ne consentono la stipulazione, luogo, modalità della disponibilità (eventualmente garantita dal lavoratore) e del relativo preavviso di chiamata, che in ogni caso non deve essere inferiore a un giorno lavorativo, trattamento economico e normativo per la prestazione eseguita, ammontare dell’eventuale indennità di disponibilità, tempi e modalità di pagamento, forma e modalità della richiesta del datore ad eseguire la prestazione, modalità di rilevazione della prestazione, eventuali misure di sicurezza specifiche.
 

Campo di applicazione e comunicazioni
Tale contratto può essere stipulato da qualunque impresa, ad eccezione di quelle che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge sulla sicurezza nei posti di lavoro (TU sicurezza, d.lgs. n. 81/2008). La prestazione può essere resa da soggetti con più di 55 anni e con meno di 24 anni i quali devono svolgere la prestazione contrattuale entro il venticinquesimo anno di età.
Il datore di lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, è tenuto a comunicarne la durata con modalità semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms, fax o posta elettronica.
 

Divieto di utilizzo del lavoro intermittente
La legge, ex art. 34, comma 3, d.lgs. n. 276/2003, vieta il ricorso al lavoro intermittente nei seguenti casi:
  • sostituzione di lavoratori in sciopero;
  • se si è fatto ricorso nei 6 mesi precedenti a una procedura di licenziamento collettivo, ovvero se è in corso una sospensione o riduzione d’orario con cassa integrazione (questo divieto è derogabile da un accordo sindacale) per le stesse unità produttive e/o mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  • da parte delle imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della normativa vigente in materia di igiene e sicurezza del lavoro.
 

Retribuzione e indennità
Al lavoratore intermittente deve essere garantito, per i periodi lavorati, un trattamento economico pari a quello spettante ai lavoratori di uguale livello e mansione, seppur riproporzionato in base all’attività realmente svolta.
Nel contratto di lavoro intermittente deve essere stabilità la misura dell’indennità mensile di disponibilità divisibile in quote orarie da corrispondere al lavoratore per i periodi per i quali abbia garantito al datore di lavoro la sua disponibilità in attesa di utilizzazione.
La misura di tale indennità è stabilita dai contratti collettivi, nel rispetto dei limiti minimi fissati con decreto ministeriale, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e non spetta nel periodo di malattia oppure di altra causa che renda impossibile la risposta alla chiamata. In tali casi, tuttavia, il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro la temporanea indisponibilità, specificandone la durata dell’impedimento e non matura, nel relativo periodo, il diritto all’indennità di disponibilità. La mancata comunicazione comporta la perdita per il lavoratore, per un periodo di 15 giorni, del diritto all’indennità di disponibilità. Il rifiuto da parte del lavoratore che si sia obbligato contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro senza giustificato motivo può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto e il risarcimento del danno la cui misura è predeterminata nei contratti collettivi o, in mancanza, nel contratto di lavoro. I contributi relativi all’indennità di disponibilità devono essere versati per il loro effettivo ammontare in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo.
 

 
Le guide
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