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11/11/2013
Tirocini: più regole, meno certezze (di Michele Tiraboschi)
di Michele Tiraboschi

Nuove regole e anche nuove complicazioni in materia di tirocini formativi. È oramai prossima alla conclusione, con un leggero ritardo rispetto al termine del 24 luglio stabilito da Governo e Regioni, l’implementazione a livello regionale delle linee-guida concordate lo scorso 24 gennaio 2013 in attuazione della legge n. 92/2012. All’appello mancano solo Valle d’Aosta e Sardegna, mentre è in corso di pubblicazione sul Bollettino ufficiale il regolamento approvato da Regione Lombardia.

L’obiettivo della legge n. 92/2012, di pervenire a una disciplina omogenea e uniforme sull’intero territorio nazionale, non è stato tuttavia raggiunto. Lo dimostra, in assenza di un monitoraggio ufficiale da parte del Ministero del lavoro, un dettagliato rapporto curato dal gruppo di ricerca di ADAPT. Nessuna sorpresa, in realtà, stante la competenza esclusiva delle Regioni in materia sancita recentemente dalla Corte Costituzionale. Le stesse linee-guida parlavano, del resto, di «standard minimi di carattere disciplinare», tali da lasciare inalterata la facoltà per Regioni e Province autonome di fissare «disposizioni di maggiore tutela». L’esito finale desta tuttavia non poche perplessità. Vuoi per i marcati divari territoriali sul punto più controverso della legge n. 92/2012, quello relativo all’indennizzo economico da riconoscere allo stagista che oscilla, Regione per Regione, tra i 300 e i 600 euro per prestazioni che, pure, possono essere di analogo contenuto. Vuoi anche per talune ingiustificabili disparità di trattamento che si registrano ora per profili di non secondaria importanza tra cui le clausole di contingentamento nell’utilizzo dell’istituto e anche l’impossibilità, in non poche Regioni, di promuovere tirocini da parte di soggetti in possesso della autorizzazione nazionale all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ciò almeno in assenza di un apposito accreditamento a livello regionale.
 

Districarsi tra le varie regolamentazione sarà dunque un esercizio complesso. E questo anche per le imprese cosiddette multilocalizzate stante l’ambigua formulazione del decreto legge n. 76/2013 che ha superato solo in parte le rigide previsioni contenute nelle linee-guida. È vero, infatti, che per le imprese con sedi operative in più parti d’Italia sarà ora possibile applicare la sola disciplina della Regione dove si ha la sede legale. Ma ciò, per espressa previsione legislativa, vale unicamente per i tirocini formativi e di orientamento di cui alle linee-guida del 24 gennaio. Non dunque per i tirocini curriculari, così come per quelli di inserimento, quelli estivi e quelli riservati ai cittadini extracomunitari nell’ambito delle quote d’ingresso. Vero è, peraltro, che non poche Regioni dispongono in termini inderogabili l’applicazione delle relative discipline per tutti i tirocini attivati e realizzati nel proprio territorio compresi dunque quelli presso datori di lavoro con sede legale in altra Regione. La debolezza del precetto nazionale di cui al pacchetto lavoro è, in questi casi, evidente stante la competenza esclusiva della Regioni in materia.
 

Nei prossimi mesi potremo meglio valutare gli effetti sul funzionamento del mercato del lavoro e sulla occupazione giovanile delle normative regionali approvate in attuazione della legge n. 92/2012. Vero è in ogni caso che, rispetto all’obiettivo di contrastare abusi e promuovere la qualità dei percorsi di stage, Governo e Regioni hanno finito con il scegliere la soluzione più comoda assimilando nei fatti, in termini di tutele, il tirocinio non curriculare a una sorta di “contratto” di primo ingresso. Di ben altro spessore sarebbe probabilmente stato un intervento volto a preservare il significato più autentico del tirocinio, quale metodo formativo dell’alternanza di cui tanto si parla con rifermento alla esperienza tedesca della formazione duale. Ciò avrebbe imposto alle Regioni una maggiore attenzione nella selezione dei soggetti abilitati alla loro attivazione, nella stesura dei piani formativi e nelle attività di monitoraggio e certificazione degli esiti dei relativi percorsi di apprendimento in termini di competenze. Ed è invece qui che le regolamentazioni regionali appaiono alquanto deludenti e deboli con il rischio che un metodo dell’alternanza quale è il tirocinio formativo, ampiamente legittimato per percorsi non curriculari, finisca per snaturarsi in termini di strumento di politica attiva per l’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani e dei gruppi svantaggiati al punto da impattate in negativo, come di fatto è avvenuto nel corso degli ultimi anni, sul faticoso processo di rilancio dell’apprendistato.
 


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