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30/10/2013
10° anniversario della legge Biagi. Una storia che ha ancora molto da raccontare
Gli anniversari di un evento importante sono il tempo per fare un bilancio di quanto è accaduto, sono il tempo per fermarsi a riflettere sul presente e sono il tempo per gettare uno sguardo al futuro. Questo classico paradigma è, però, riduttivo e inadeguato per la celebrazione del decimo anniversario della legge Biagi. Per celebrare l’anniversario dell’entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro, più che tracciare un bilancio, riflettere sul presente e guardare al futuro è necessario raccontare una storia.

È una storia che ha il suo primo importante momento con la sottoscrizione nel 2000 a Milano del Patto per il lavoro, a cui il prof. Marco Biagi aveva lavorato, che introduce dei servizi per l’impiego, con la collaborazione tra le istituzioni e le parti sociali, al fine di favorire il lavoro delle persone più deboli. La storia prosegue con la pubblicazione nel 2001 del Libro Bianco sul mercato del lavoro che traccia alcune delle linee principali che sono state recepite nella riforma del mercato del lavoro: l’importanza del confronto con le parti sociali; l’introduzione di nuove tipologie contrattuali per aiutare l’emersione del lavoro sommerso; migliorare l’occupabilità delle persone; creare un mercato del lavoro efficiente e trasparente; distinguere le collaborazioni vere da quelle fasulle; aumentare la flessibilità attraverso strumenti quali il part time. Questa storia continua e si spezza il 19 marzo 2002 con l’assassinio del prof. Marco Biagi (allora consulente per la riforma del mercato del lavoro del Ministro del Welfare Roberto Maroni) sotto la sua casa bolognese ad opera delle nuove Brigate Rosse. Nel nostro paese i tentativi di riforma e di modernizzazione del mondo del lavoro sono spesso legati a tragici fatti di sangue (Biagi e prima di lui Massimo D’Antona non sono che gli ultimi esempi) segno della violenza che percorre la nostra società.

Dopo molte vicissitudini, il 24 ottobre 2003 è entrato  in vigore un pacchetto di riforme del mercato del lavoro (intitolato al giurista bolognese) che voleva tradurre in strumenti operativi le intuizioni del Libro Bianco. Parlare della legge Biagi non è semplice perché nonostante siano trascorsi dieci anni intensi che hanno dato ragione all’impianto culturale della riforma, sono ancora vive le ferite dello scontro marcatamente ideologico dell’epoca. Il modo più corretto per approcciarsi alla legge Biagi è forse capire la visione ad essa sottesa poiché, pur nelle modifiche successive, è rimasta invariata fino ad oggi. Il primo aspetto da considerare è che il lavoro non si crea per decreto.

Sembrerebbe un’affermazione paradossale per una legge che introduce nuove tipologie contrattuali nell’ordinamento, completando e superando la grande riforma del mercato del lavoro introdotta dalla legge Treu del 1997, eppure è da questa evidenza che prende il via la riforma Biagi. Il diritto deve fornire degli strumenti che da una parte favoriscano la crescita economica (la sola che può assicurare la crescita dell’occupazione), dall’altra garantiscano le tutele proprie del diritto a tutti i lavoratori. Strettamente connesso a questo aspetto è l’importanza dell’emersione del lavoro sommerso, un fenomeno che in Italia ha sempre avuto proporzioni drammatiche. Soprattutto per i soggetti deboli come i giovani, le donne o gli immigrati il lavoro nero nasconde spesso una vera e propria forma di sfruttamento. Le opportunità date dalle varie tipologie contrattuali ha come scopo quello di coprire queste situazioni, di permettere a tutti di poter avere un lavoro e che il lavoro fosse regolare. Altro aspetto importante è la visione sussidiaria e partecipativa del mondo del lavoro, nel quale un ruolo fondamentale viene svolto non solamente dalle tradizionali parti sociali, ma da tutti gli attori sociali. La possibilità dei soggetti privati, delle associazioni, delle parti sociali, di diversi enti (come le università), di fare intermediazione, ossia ampliare la fascia dei soggetti coinvolti nell’aiutare le persone a trovare lavoro, assieme ad un impianto concreto di politiche attive del lavoro è un’importante realizzazione del principio di sussidiarietà. Si tratta di creare un mondo del lavoro inclusivo in grado di accogliere e valorizzare le tante forze che ne rimangono ai margini, di scommettere sulle persone e sulla capacità di sviluppare un sistema di relazioni industriali improntato sulla collaborazione e non sullo scontro o la rivendicazione. Gran parte della legge Biagi è rimasta inattuata (anche a causa delle differenti politiche del lavoro delle Regioni), alcune tipologie contrattuali non sono state molto utilizzate o sono state abrogate, altre scelte sono state fatte in merito al lavoro flessibile, ma il suo impianto e, soprattutto, la sua carica innovativa permangono, come testimonia la rilevanza che sta assumendo il contratto di apprendistato.
 

I dati della disoccupazione, in particolare di quella giovanile e del Mezzogiorno, inducono a proseguire nell’impegno per creare un mercato del lavoro trasparente ed efficiente, che non “sprechi” le persone ed i loro talenti. Per poter superare le criticità del nostro presente rimangono da raccogliere molte sfide, tra le quali spiccano la sfida per una maggior compenetrazione tra il sistema formativo e il sistema produttivo e la sfida per una più agevole transizione dalla scuola al lavoro. Il tragico omicidio del prof. Biagi non ha fermato, come era nelle intenzioni dei brigatisti, il processo di riforma. Anzi, ha trovato delle persone, a partire dal suo allievo Michele Tiraboschi, che hanno proseguito il suo cammino non solo attraverso la  riforma del mercato del lavoro, ma pure attraverso opere come la Fondazione Marco Biagi, il Centro Studi Marco Biagi e ADAPT (un’associazione a cui Marco Biagi aveva dato vita qualche anno prima di morire) e che hanno raccolto e sviluppato il retaggio umano e intellettuale del prof. Biagi. Ha trovato degli attori sociali, come il Movimento Cristiano Lavoratori, che riformisti lo sono sempre stati e che fin da subito, quando più duro era lo scontro ideologico, si sono spesi per creare un mondo del lavoro inclusivo e partecipativo capace di valorizzare le persone.  Ha trovato tanti giovani che hanno avuto la forza di scommettere sui propri talenti senza cedere alla rassegnazione o al vittimismo. Ha dato vita a esperienze, come ProntoLavoro MCL (nata dalla collaborazione tra il Movimento Cristiano Lavoratori e ADAPT), volte a condividere i bisogni delle persone che hanno la necessità di orientarsi e di inserirsi nel mondo del lavoro. Ha dato inizio ad una storia che ha ancora molto da raccontare.

Giovanni Gut


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