Le PMI che superano la soglia dei 15 dipendenti, effettuando nuove assunzioni con il contratto indeterminato a tutele crescenti previsto dalla prima delega del Jobs Act esercitata dal Governo, continuano a non applicare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori a tutti gli assunti. È una delle misure della delega sul contratto indeterminato a tutele crescenti di maggior interesse per le PMI. Il decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri dello scorso 24 dicembre (insieme a quello sulla nuova ASpI, anch’esso in esecuzione del Jobs Act).
Il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti si applica a partire dal primo gennaio 2015, sostituisce per le nuove assunzioni il vecchio tempo indeterminato (che resta inalterato per i contratti già in essere), e prevede sostanzialmente novità in materia di licenziamento, allentando di molto i vincoli dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il diritto al reintegro per il lavoratore ingiustamente licenziato, in pratica, sparisce per tutti i licenziamenti di tipo economico (giustificato motivo oggettivo) e disciplinare (giustificato motivo soggettivo o giusta causa), mentre resta in tutti i casi di licenziamento discriminatorio.
Giustificato motivo e giusta causa
In tutti i casi di licenziamento non discriminatorio, se il giudice stabilisce l’illegittimità, al posto del reintegro, è prevista un’indennità economica, non assoggettata a contribuzione previdenziale, pari a due mensilità (calcolate sull’ultima retribuzione) per ogni anno di servizio. La somma deve comunque essere compresa fra quattro e 24 mensilità (due anni). Questo vale non solo per il giustificato motivo oggettivo (motivazione economica, in genere dovuta a ristrutturazione aziendale), ma anche per il giustificato motivo soggettivo e la giusta causa (motivazione disciplinare).
Attenzione: in tutti i casi sopra citati resta però il diritto al reintegro se il giudice stabilisce l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. In pratica, sottolinea il decreto, se il fatto contestato è insussistente, non viene effettuata alcuna valutazione rispetto alla sproporzione del licenziamento. Semplicemente, il giudice annulla il provvedimento, e:
«Condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 181/2000».
Insomma, restano tutte le tutele attualmente previste in caso di licenziamento illegittimo (reintegro e risarcimento). L’indennità risarcitoria non può superare le 12 mensilità.
PMI sotto i 15 dipendenti
Tutto questo vale solo per le imprese sopra i 15 dipendenti, sotto questa soglia continua a non essere previsto il reintegro (tranne che nel caso dei licenziamenti discriminatori). Nelle piccole imprese la misura dell’indennità in caso di licenziamento ingiustificato è dimezzata (quindi è pari a una mensilità per ogni anno di lavoro), e non può comunque superare le sei mensilità.
Per le PMI c’è anche un’altra previsione importante nel decreto: l’articolo 1, comma 2, prevede che, dal primo gennaio 2015, quando superano la soglia dei 15 dipendenti (sopra la quale, come è noto, si applica l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori), effettuando assunzioni a contratto indeterminato a tutele crescenti, le nuove regole sulla disciplina dei licenziamenti continuano a valere anche per i vecchi assunti. In parole semplici, ai vecchi assunti a tempo indeterminato delle PMI sotto i 15 dipendenti che superano questa soglia, si applicano in materia di licenziamento le stesse regole del contratto indeterminato a tutele crescenti, non quelle del “normale” tempo indeterminato.
Licenziamento discriminatorio
Per questa fattispecie non cambia nulla, resta in tutti i casi il reintegro, a prescindere dalle dimensioni aziendali. Il reintegro continua a essere previsto anche in tutti i casi dinullità del licenziamento previsti dalla legge, ai caso di licenziamento intimato in forma orale. Se, in seguito al provvedimento di reintegro stabilito dal giudice, il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro, il rapporto di lavoro è risolto. Questa non vale nel caso in cui il dipendente abbia già espresso, nei termini previsti, la volontà di sostituire il reintegro con l’indennità risarcitoria, che è pari a 15 mensilità. Il lavoratore di cui viene ordinato il reintegro ha anche diritto a un’indennità che non può essere inferiore a cinque mensilità.
Vizi formali e procedurali
Al di fuori del caso, sopra citato, in cui il licenziamento sia comunicato solo verbalmente (nel quale è previsto il reintegro), se ci sono altri vizi di forma o procedura (violazione dei requisiti di motivazione previsti da articolo 2, comma 2, legge 604/1966, o articolo 7 legge 300/1970), il rapporto di lavoro è comunque estinto, ma il giudice condanna l’azienda al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a una mensilità per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a due e non superiore a 12 mensilità (a meno che non venga accertata la sussistenza di altre tutele previste dalla legge).
Revoca del licenziamento o conciliazione
Se entro 15 giorni dall’impugnazione del licenziamento il datore di lavoro revoca il provvedimento, il rapporto di lavoro viene ripristinato senza soluzione di continuità. L’articolo 6 del decreto offre poi una nuova possibilità di conciliazione: al momento del licenziamento, il datore di lavoro può offrire un risarcimento pari a una mensilità per ogni anno di servizio, che deve essere compreso fra due e 18 mensilità, che non costituisce reddito imponibile ai fini IRPEF e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Se il lavoratore accetta, il rapporto di lavoro è definitivamente concluso e il licenziamento non è più impugnabile.
Licenziamento collettivo
Tutte le nuove regole sui licenziamenti previste dal nuovo contratto a tutele crescenti sono valide anche nei caso di licenziamento collettivo, in deroga quindi alle procedure previste dalla relativa legge (223/1991), in base alle quali in questi casi è comunque necessario un accordo sindacale. L’articolo 10 del decreto stabilisce che, se il licenziamento collettivo è intimato senza l’osservanza della forma scritta, vale il reintegro. In tutti gli altri casi, invece, si applicano le indennità economiche previste per i licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo, giusta causa. In pratica, convergono le procedure per licenziamenti individuali e collettivi.
Contratto di ricollocazione
In tutti i casi di licenziamento illegittimo, il lavoratore (che non è stato reintegrato, ma ha ricevuto l’indennità descritta precedentemente) ha diritto di ricevere dal Centro per l’impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione. Presentando questo voucher a un’agenzia per il laovro, pubblica o privata, ha diritto al contratto di ricollocazione, che prevede:
- assistenza appropriata nella ricerca di nuova occupazione;
- diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell’agenzia, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;
- dovere del lavoro di cooperare con l’agenzia.
L’agenzia incasserà l’ammontare del voucher, proporzionato al profilo di occupabilità del lavoratore, solo nel caso in cui il lavoratore trovi un nuovo impiego.
Fonte: PMI.it